Terzo Racconto

Domenica stanca, lenta ancora più del ritmo lento dell’altipiano. Domenica spenta, come un cielo velato. Oggi l’Africa non regala colori ed un unico tono riveste ogni cosa. Quelle che per un pò ci sembravano nuvole gonfie di pioggia, promessa di nuova vita, ci hanno deluso. Era solo un carico di polvere, di sabbia che il vento secco ci fa improvvisamente turbinare attorno.  Le prime ore del pomeriggio sono le peggiori, stamane invano abbiamo tentato di aiutare un povero corpo devastato dalla gangrena, orribilmente mutilato dai chirurghi, in un ultimo impietoso tentativo di evitare ciò che ormai era inevitabile. L’ultima immagine è di sua madre, piccola, rinsecchita dal sole, avvolta nel suo scialle, gli occhi colmi di dolore, mentre ascoltava quasi incredula, i rantoli disperati di un figlio che muore. Domenica triste, ocra, gialla, senza luce, polverosa. Con noi a pranzo Enrico,29 anni, quasi la metà sotto le armi, un nonno Italiano, Abruzzese dell’Aquila, scappato subito dopo aver generato suo padre. La sua lingua è perfetta, con un lieve accento Lombardo; se chiudi gli occhi mentre lo ascolti potresti trovarti a Milano. E lo ascoltiamo mentre racconta di quando è diventato uomo, quando un ragazzo di 18 anni lascia la scuola, sua madre, suo padre, gli amici, non tutti perché qualcuno lo segue, e va alla guerra. Racconta i primi mesi da armiere, quando dopo un rapido corso, riparava le armi, i kalasnikhov, anche essi feriti in battaglia, racconta le urla dei feriti, soprattutto racconta la rabbia per i morti che tornavano indietro, già gonfi e deformi. Racconta la voglia di battersi, uccidere, l’ira impotente che brucia un’adolescenza perduta. Poi, un giorno rincalzo al fronte : finalmente si va a fare la guerra, quella vera. Ottocento chilometri, due giorni sul camion, pochissime soste, l’eccitazione che nasconde fame e stanchezza; l’arrivo nel pomeriggio, trincee battute dal sole, sabbia e terra arsa. C’è qualche ora per riposarsi dicono, ma è solo un’illusione, dopo pochi minuti l’artiglieria nemica inizia a martellare ed annuncia l’attacco. Adesso quel mitra, quei caricatori bisogna usarli davvero, non contro bersagli, sagome di cartone, ma contro divise di diverso colore. Venivano avanti in massa, disordinati ed inermi, racconta Enrico, noi eravamo addestrati ed arrabbiati, molti di meno, ma assai più efficienti. Ne ammazzavamo tanti, ondata dopo ondata, l’unico problema erano le munizioni, quando mancavano contrattaccavamo di notte. Loro non avevano trincee, solo piccole buche appena grattate sul terreno duro, dove rannicchiarsi atterriti. Combattimenti feroci, a volte corpo a corpo, ne ammazzavamo tanti, l’unico problema era il cibo, un poco di pane, una scodella di lenticchie e il permesso di procurasi il resto. Piccoli mammiferi, a volte serpenti servivano ad integrare le magre razioni. Eravamo più forti, loro venivano avanti senza guida, senza capire perché, carne da macello. Ne ammazzavamo tanti, l’unico problema era l’odore dolciastro, nauseabondo, di morte. Corpi lasciati sul terreno per giorni e giorni nella terra di nessuno, gonfi sotto il sole d’Africa, a volte li vedevi di nuovo muoversi per effetto dei gas, in un’ultima tragica, effimera danza che la morte  regalava loro. Poi vedi morire i tuoi amici, vedi i compagni feriti mutilati, storpiati per sempre, non ti importa di uccidere, non ti importa di morire. Vai avanti e ti sembra che quello è da sempre il tuo mestiere, ti sembra che durerà per sempre. Poi i combattimenti che diradano, una settimana senza sparare, un mese. E’ strano questo silenzio, quasi spaventa più della guerra. Ma questa volta è stata lei a morire, perlomeno a ritrarsi. Il nemico è battuto, inseguito fin dentro i suoi confini tant’è che bisogna persino tornare indietro. Più difficile sarà tornare a vivere, sarà combattere contro i ricordi, le immagini assurde, l’odore della morte. Ricominciare con il senso di colpa di chi è sopravvissuto, rivedere in sogno un amico perduto e chiedersi cosa la vita gli avrebbe riservato; avrebbe avuto una donna, generato dei figli, avrebbe amato, gioito, pianto, sofferto. Tutto ciò non sarà, irrimediabilmente perduto. Enrico ci guarda con i suoi grandi occhi tristi, come possono essere gli occhi di un ragazzo che ha visto la guerra e non basta il vino oggi a scacciare la malinconia. Domenica stanca, inutile senza pioggia. Fatta di polvere e tristezza. Domani la pioggia laverà ogni cosa ed il ricordo sarà meno duro. Enrico il ragazzo, il guerriero ci guarda e dolcemente sorride quando mi chiede di versarne ancora.